Antichi astronauti, una “teoria” indimostrata
I sostenitori degli antichi astronauti accusano la scienza di negazionismo. Ma la scienza si è data una regola: provare ciò che si afferma e affermare solo ciò che è provato (secondo la lezione di Galileo e Cartesio). Le teorie paleoastronautiche non possono essere avallate in quanto non si basano su evidenze scientifiche. Per poter sostenere che nel passato gli alieni sono sbarcati sulla Terra occorre presentare un reperto chiaramente extraterrestre, il resto fossile o la mummia di un alieno, oppure un manufatto realizzato con materiali non presenti sul nostro pianeta. Non si possono semplicemente chiamare in causa “non provati” visitatori spaziali per spiegare gli enigmi irrisolti della paleoantropologia o dell’archeologia. Non si può sostituire un mistero con un altro, annunciando di avere sciolto il nodo. La prova al contrario naturalmente non vale: ovvero, non è lecito pretendere che siano i supposti negazionisti a dimostrare che la soluzione proposta non è valida. La scienza non funziona così. L’onere della prova spetta a chi intende proporre una teoria, in particolare se vuole avvalorare una versione della storia umana in controtendenza rispetto a quanto stabilito finora dagli studi sul campo. Ogni tanto, tuttavia, si può raccogliere il guanto della sfida lanciato da questi “revisionisti incompresi” e mettere nero su bianco qualche spunto di riflessione, utile a confutare la loro bizzarra idea.
Il maggior difetto che in genere manifestano le multiformi teorie del “paleocontatto” è la mancanza di aggiornamento allo stato attuale delle scoperte scientifiche. Difficile dire se tale svista sia inconsapevole o premeditata, fatto sta che le cognizioni scientifiche su cui basano tutto l’impianto sono quelle di un centinaio di anni fa o più. Ad esempio, i sostenitori della creazione dell’uomo intesa come esperimento extraterrestre non sanno o fingono di non sapere che oggi la teoria di Darwin, fondata su adattamento e selezione naturale, è stata fortemente riformata alla luce del concetto di mutazione genetica spontanea. Dimenticano che la “questione dell’anello mancante” è superata da un pezzo, non conoscono la sequenza assolutamente coerente, arricchita da tantissimi ritrovamenti recenti, che conduce dall’Australopiteco all’apparizione del genere Homo, per poi giungere passo dopo passo alle sue forme attuali. Per qualcuno l’umanità è stata creata manipolando gli australopitechi, per altri qualche nostro arcaico cugino come l’Erectus o il Neanderthal. Ma oggi la scienza ha potuto stabilire che l’Australopiteco camminava eretto, mangiava carne e usava strumenti di pietra. E secondo le ricerche 3 milioni e mezzo di anni fa e poi ancora circa un milione di anni dopo due mutazioni genetiche hanno consentito l’espansione del cervello. Peraltro oggi sappiamo che anche gli scimpanzé delle foreste africane hanno uno spiccato senso sociale, cacciano in gruppo, utilizzano attrezzi e alcuni di loro hanno perfino adottato un rituale che potrebbe essere definito religioso. Figuriamoci un animale ben più evoluto come l’Australopiteco cosa poteva fare. Di certo non sorprende così tanto come qualcuno vorrebbe che a un certo punto si registri l’apparizione dei nostri primissimi antenati. E che dire dell’Erectus? Oggi sappiamo essere stato in grado di sviluppare un pensiero simbolico (artistico), trasmettere precise tecniche di lavorazione della pietra, accendere e controllare un fuoco e viaggiare per il mondo (forse anche navigare). Le evidenze di 750 mila anni fa emerse in Israele mettono in luce abitudini sociali talmente evolute da far ritenere che fosse anche perfettamente in grado di esprimersi. Inutile parlare del Neanderthal: ormai è certo che non avesse proprio nulla da invidiare ai Sapiens per capacità cognitive, conoscenze, tecniche e costumi quotidiani. Insomma, non serve l’intervento alieno per capire come l’uomo sia arrivato step by step al livello attuale
Poi ci sono coloro che pur non postulando la necessità di un intervento alieno per spiegare la comparsa dell’umanità, ritengono opera di esseri extraterrestri o da loro ispirate le strutture megalitiche e una serie di oopart (i cosiddetti oggetti fuori dal tempo) trovati dagli archeologi. Quindi staremmo parlando di uno sbarco spaziale in tempi assai successivi. Anche in questo caso certi dubbi sono frutto di conoscenze scientifiche risalenti ad almeno un secolo fa. Un tempo si credeva che l’uomo preistorico fosse un povero cavernicolo, ma è perfettamente testimoniata la non veridicità di questo argomento. L’uomo, già nel Paleolitico superiore, studiava le stelle, comprendeva la matematica, edificava con la pietra. Strutture ciclopiche e megaliti vari, benché in molti casi sia difficile stabilire i metodi di costruzione utilizzati, non sono apparsi per magia. Sono costruiti sulla Terra, con materiali terrestri, rivelano segni di lavorazione umana, servono a scopi umani (misurazioni celesti, fortificazioni, centri rituali, sepolture). Perché mai chiamare in causa gli extraterrestri, perché mai i visitatori spaziali, verosimilmente in possesso di tecnologie futuristiche, tali da consentire viaggi in astronave, si sarebbero dovuti mettere a scalpellare una pietra o avrebbero dovuto sentire la necessità di misurare fasi lunari, equinozi e solstizi? Al limite si può affermare che quegli antichi costruttori erano più avanzati di quanto ritenuto in precedenza. Del resto, è ormai ufficialmente tramontata l’idea ottocentesca della civiltà sbocciata dal nulla solo intorno al 3000 a.C. Le tappe evolutive che dalle culture preistoriche hanno portato a Sumeri, Egizi e civiltà dell’Indo, sono perfettamente certificate. Nessun balzo improvviso propiziato da chissà quale intervento esterno, ma un lungo percorso iniziato almeno nel Neolitico (se non ancora prima).
Per quanto riguarda gli oopart risulta abbastanza superfluo affrontare il tema, sono decine i libri e i siti capaci di smontare pezzo per pezzo le presunte testimonianze di reperti fuori tempo, che a una più attenta analisi al massimo si sono rivelati sorprendenti ma non certo alieni, come le pile di Baghdad o il meccanismo di Antikythera. Ma il più delle volte vere e proprie bufale: i teschi di cristallo, il geode di Coso, il martello di London in Texas, le sfere metalliche di Klerksdorp, il bassorilievo nel tempio di Abydo che riprodurrebbe carri armati ed elicotteri, i tubi di Baigong, i dischi di Bayan Kara Ula o il papiro Tulli. Fermiamoci qui, ma un veloce giro in internet può soddisfare tutte le curiosità in merito. Sull’onda di scrittori come Von Daniken e Sitchin, molti sostenitori della paleoastronautica tentano di avvalorare le loro tesi facendo ricorso alla mitologia che tuttavia non è utilizzabile come prova scientifica. I miti non riportano fatti di cronaca, magari deformati e ingigantiti dal passaparola attraverso i millenni e dalla superstizione popolare (questa attitudine interpretativa viene definita evemersimo). Al contrario, sono racconti allegorici elaborati per trasferire il sapere, un sistema “per immagini” utilizzato dalla mente pre-logica per spiegare i fenomeni attraverso una sorta di codice simbolico. L’idea secondo cui i miti vadano interpretati letteralmente è priva di ogni ragione. Le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi non sono descrizioni ma scenette in cui i protagonisti in realtà non rappresentano uomini, eroi, divinità, chimere e meno che mai alieni, ma corpi celesti, forze modellatrici dell’universo, meccanismi astrofisici e talvolta principi metafisici. I miti il più delle volte hanno significato astronomico, essendo stati elaborati in un’epoca in cui era globalmente diffusa una religione basata sui moti celesti e i ritmi della natura.
Le avventure vissute dai protagonisti dei miti, nascite, morti, guerre, amori, non sono cronache del passato, ma il mezzo per tramandare informazioni cifrate. Il fatto che nei miti compaiano immagini fantasy o sci-fi non deve stupire. L’uomo da sempre immagina di possedere armi meravigliose che inceneriscono i nemici o frecce che inseguono le prede, é connaturato all’indole umana sognare di volare come gli uccelli, di raggiungere il sole, la luna e le stelle in volo o con un balzo. Si tratta di visioni del tutto rispondenti alle necessità degli uomini di ogni tempo, non a caso perfettamente in linea con i “sogni” che ancora oggi facciamo. Anche noi parliamo di teletrasporto, macchina del tempo, astronavi e viaggi interstellari senza essere in grado di realizzare nella pratica questi congegni, la nostra fantasia è millenni avanti rispetto alla nostra tecnologia. Chiunque di noi è in grado di disegnare un disco volante, un robot, un extraterrestre, il che non significa che lo abbia visto dal vivo, chiunque può scrivere un racconto fantastico partendo solo dalla propria immaginazione. Era così anche in passato. Un giorno forse arriveremo a questi risultati meravigliosi, tuttavia già oggi produciamo film, libri, immagini che potrebbero trarre in inganno gli archeologi del futuro sul nostro reale livello tecnologico. Saranno forse autorizzati trovando un modellino di un’astronave a pensarci capaci di viaggi interstellari?
La fantascienza non è figlia della tecnologia, semmai il contrario. L’uomo prima desidera e poi cerca di dare forma alle sue fantasticherie e agli oggetti del suo desiderio. In poche parole l’immaginario fantascientifico non è nato con la scienza moderna e meno che mai con la rivoluzione industriale. Quando è nata dunque la fantascienza? A ben vedere le espressioni del pensiero umano dal Paleolitico a oggi, scultura e pittura, mitologia, letteratura, sono intrise di elementi fantastici. Artisti di ogni epoca hanno dipinto immagini che ai nostri occhi appaiono tipicamente sci-fi. Certamente non possiamo sapere di preciso cosa immaginassero gli uomini preistorici e che significato dessero a quelle immagini. Ma non è possibile pronunciare frasi come “loro poverini non distinguevano tra una divinità e un extraterrestre in carne e ossa”. Questi elementi possono essere colti solo dopo l’apparizione della scrittura. E allora risulta chiaro che quando gli antichi hanno voluto riferirsi alle divinità lo hanno fatto e quando invece hanno voluto parlare di alieni hanno fatto altrettanto senza problemi, comprendendo perfettamente la distinzione. Per esempio Filolao (470 a.C. - 390 a.C.), filosofo, astronomo e matematico, scrive che la Terra non sarebbe l’unico pianeta abitato del sistema solare, sulla Luna vivrebbero piante e “uomini” quindici volte più grandi di quelli terrestri. Luciano di Samosata (120 d.C. - 192 d.C.) nel romanzo “La storia vera” narra il suo viaggio sulla Luna e l’incontro con le popolazioni che abitano sul nostro satellite, impegnate in una guerra per la colonizzazione di Venere contro il re del Sole. I cultori della paleoastronautica fanno riferimento a periodi più antichi dell’epoca classica, in genere la Mesopotamia dei sumeri, l’Egitto predinastico, l’India vedica, il Medio Oriente dei patriarchi biblici. Ma non si può certo considerare queste culture così sprovvedute da non cogliere la differenza tra entità evidentemente diverse. I livelli raggiunti in tutti i campi del sapere lo testimoniano.
E allora se ne erano consapevoli Filolao e Luciano di Samosata perché non si vuole attribuire la stessa capacità di discernere agli autori dei Veda che narrano di divinità in astronave o al poeta indiano Valmiki (II secolo a.C. circa - I secolo a.C. circa), che nel suo Ramayana racconta le guerre aeree degli dei a bordo dei “vimana” e il viaggio di Hanuman verso la “bianca e lucente” isola di Lanka, descrivendo quello che sembra il lancio di un razzo lunare? Semplicemente, per rappresentare la potenza divina, hanno utilizzato uno scenario retrofuturista al posto di appoggiarsi ad altre fantasie di regola più diffuse nei miti e nei testi sacri antichi, come unicorni, draghi, carri volanti e incantesimi prodigiosi. Eppure i vimana nei cieli dell’Indo non sembrano dare pace ai cultori degli antichi astronauti, tanto da sostenere che Mohenjo Daro sia stata rasa al suolo da un’esplosione nucleare (così come le mitiche Sodoma e Gomorra), nonostante a Mohenjo Daro esistano ancora case in mattoni di fango rimaste in piedi e la presunta radioattività rivenuta nell’area sia una bufala ormai smentita da tempo. E nonostante la navicella di Toprakkale, che per decenni è stata sbandierata come prova, sia risultata un manufatto moderno. Chiudiamo ricordando la paleoastrinautica “terrestre”. Secondo alcuni autori, i prodigi tecnologici del passato, vimana compresi, sarebbero da attribuire a una super civiltà terrestre antidiluviana. Che prima della deglaciazione esistessero culture megalitiche molto avanzate è indubbio, ma che sapessero costruire e non solo immaginare macchine volanti e armi di distruzione di massa resta tutto da dimostrare. Anche qui serve una prova, almeno una vite
Giorgio Giordano