I giganti al tempo di Photoshop
L'arte del fotomontaggio
La febbre dei giganti impazza, sembra di essere tornati nell'Ottocento. Il 6 aprile del 2015, sotto lo pseudonimo di Crisscriss Croix, un tale ha pubblicato su Facebook la foto del ritrovamento di un paio di crani giganteschi, una delle tante che circolano in rete. Questa si distingueva per la fattura particolarmente rozza, un prodotto di Photoshop che nessun essere senziente poteva scambiare per uno vero scatto fotografico. Eppure, dopo dieci giorni il post aveva superato le 12 mila condivisioni, che al momento, a 13 mesi di distanza, sono diventate 122 mila e oltre. Diversi utenti del noto social network non hanno saputo trattenere il sarcasmo, ma incredibilmente la maggioranza si è lanciata in invettive complottistiche: nel mirino c'era e c'è un presunto piano globale per nascondere al mondo la passata esistenza dei giganti. Il vizietto dei fotomontaggi è ormai datato, ma la tecnologia digitale ha rinvigorito la pratica e i giganti sono tornati alla ribalta. I fake più famosi sono quelli associati a una fantasmagorica scoperta che sarebbe avvenuta dopo lo tsunami indiano del 2004. L'onda anomala avrebbe portato alla luce le sepolture di uomini grandi come il Polifemo omerico. Peraltro, sui vari siti internet, le stesse foto vengono attribuite anche a ritrovamenti in Arabia Saudita, Iraq o altre zone del Medio Oriente. Si tratta di immagini realizzate per un concorso indetto in quel periodo dal sito Worth1000.com, specializzato in rielaborazioni fotografiche. Anche in quel caso si era scatenato il passaparola online (nonostante gli evidenti tratti estetici moderni e non preistorici degli scheletri in questione). Ancora oggi c'è chi crede nella genuinità di quelle foto e ritiene che l'esistenza di uomini di sette o dieci metri venga celata all'umanità. Non sono mai stati disseppelliti resti di queste dimensioni, non esistono reperti fisicamente osservabili, non è possibile pensare che degli 007 archeologici riescano a fare sparire ogni traccia prima che sia resa pubblica, specie ai giorni nostri, con tutti i mezzi del caso per testimoniare con immagini e filmati qualunque evento. Ma sistematicamente le prove finiscono per essere rubate, perse o bruciate: la colpa è della Scienza, della Cia e del Vaticano. Durante alcune fasi del Paleolitico l'uomo ha assunto dimensioni superiori a quelle del presente, non sono mancati i ritrovamenti di soggetti più alti e robusti dei Sapiens attuali, ma si tratta di stature simili a quelle dei moderni cestisti, non quelle suggerite dall'iconografia popolare. Probabilmente si inseriscono in questo solco anche le testimonianze relative a scheletri enormi nelle sepolture degli indiani del Nord America, così i racconti dei primi esploratori europei sui giganti della Patagonia o le leggende degli Inuit sui mastodontici selvaggi della Groenlandia, chiamati Tuniit o Sivullirmiut. Gli utensili di dimensioni eccessive, ritrovati in varie parti del mondo, sono stati spesso ritenuti oggetti cerimoniali e non d'uso, ma reperti come le impressionanti asce in pietra di 150 mila anni fa, scoperte in Sudafrica, suggeriscono la presenza di soggetti degni del più poderoso wrestler dei nostri giorni.
Burloni e truffatori
Qualcuno pensa ancora che le ossa del famoso gigante di Lucerna, rivenute nel 1577, siano conservate nel museo cittadino, ma si tratta dei resti di un mammut. Tra le burle storiche, la più nota è quella del gigante detto di Cardiff o Antrim, apparso in Irlanda nel 1895. Ebbe un immenso successo perfino in quell'epoca priva di "mi piace" e selfie, tanto da essere prodotto in due copie. Ha suscitato grande attenzione anche il femore conservato al Mt. Blanco Fossil Museum in Texas, ma basta dare un'occhiata al sito del museo per scoprire che si tratta di una "copia di gesso" di un femore gigante che sarebbe stato trovato in Mesopotamia. Del reperto originale naturalmente nulla si sa. Merita ricordare anche le foto del dito gigante (lungo 38 centimetri) che sarebbero state scattate nel 1988 in Egitto dallo svizzero Gregory Spoerri, un impresario discografico di Basilea, per poi essere vendute 24 anni dopo al quotidiano tedesco Bild e subito pubblicate. Il tombarolo egiziano, oltre al dito, avrebbe mostrato all'impresario anche un "certificato di autenticità" e una radiografia, entrambi risalenti agli anni ’60. A parte le fotografie, non esiste traccia del misterioso reperto: se non si tratta di una truffa acchiappa-turisti, verosimilmente è il discografico che cerca un po' di notorietà. Quasi una decina di anni fa, il ricercatore del mistero Klaus Dona ha presentato alla stampa un dente boliviano di 12 centimetri, radice compresa, che sarebbe dovuto appartenere a un uomo di nove metri. Nessuno studio ha accompagnato la scoperta e nel frattempo Dona si è votato alla "paleoastronautica". Si è fatto un gran parlare anche delle ossa ritrovate da padre Carlos Miguel Vaca in Ecuador, in quel caso sotto i riflettori c'era uno scheletro di sette metri, purtroppo mai esaminato da nessuno. Non convincono nemmeno i reperti trovati da Luigi Muscas a Pauli Arbarei e precipitosamente attribuiti ai giganti della tradizione isolana: si tratterebbe di ossa animali, non umane. In Sardegna e in altri luoghi del Mediterraneo dove compaiono megaliti e mura "pelasgiche" sono diffuse le leggende sui giganti e abbondano le testimonianze orali di sepolture con scheletri enormi. Anche qui, a naso, si tratta dei resti appartenuti ai robustissimi uomini della preistoria europea, non a esseri paragonabili ai Titani mitologici. I percorsi evolutivi del genere Homo sono ben testimoniati dai reperti: benché nel Pleistocene siano esistiti animali molto più dimensionati dei corrispettivi attuali, evidenza in qualche misura riscontrabile anche nella specie umana, i nostri predecessori non hanno mai raggiunto la statura di una giraffa. Per chiudere, non si possono dimenticare i giganti più discussi di sempre, quelli di Glozel in Francia, definiti "grandi il doppio" del normale. Al di là delle note controversie sull'autenticità del vasellame e degli altri reperti trovati nel 1924, quello che manca all'appello sono proprio le ossa. Colpa dei ladri, questa volta.
Giorgio Giordano