I misteri delle veneri paleolitiche
Il primo culto
Le cosiddette veneri sono un grande classico dell'arte preistorica. Visivamente, le più note al grande pubblico sono due statuette di 25 mila anni fa, quella trovata in Austria a Willendorf, realizzata in calcare, e quella rinvenuta in Francia a Brassempouy, scolpita nell'avorio. Entrambe si ricordano per il particolarissimo copricapo intrecciato (o pettinatura afro che sia), ma la prima rappresenta la tipica donna prosperosa che incarna la Dea Madre preistorica, mentre la seconda è una testina priva di corpo, fondamentale perché è fra le più vecchie rappresentazioni realistiche della figura umana. Tuttavia, la storia delle veneri pare essere iniziata molto prima. La venere ritrovata a Tan-Tan in Marocco è una statuetta in quarzite, alta circa sei centimetri, risalente a 300-500 mila anni fa. Fu trovata nel 1999 a una profondità di 15 metri, sulla riva sinistra del fiume Draa. Una scoperta che retrodata incredibilmente la comparsa di queste figure. Certo non è dato sapere se anche questa raffigurazione avesse un significato sacro come quelle che hanno caratterizzato il Paleolitico superiore, a partire da circa 40 mila anni fa. Sappiamo però che era ricoperta di ocra rossa e questo pigmento è strettamente associato ai riti sacri preistorici, veniva usato nelle sepolture da Neanderthal e Sapiens ed è poi stato utilizzato nell'arte rupestre, che è altrettanto connessa al mondo del soprannaturale. La venere di Berekhat Ram trovata nel Golan è scolpita nel tufo rosso e misura appena tre centimetri e mezzo: anche la sua datazione è sorprendente, si parla di almeno 230 mila anni fa. L'enigma è chi siano gli autori di queste miniature e dove siano finite le veneri per i successivi 200 mila anni. Sappiamo solo che sono ricomparse in Eurasia con la migrazione dei Sapiens. Generalmente l'esplosione del fenomeno è associato al Gravettiano, compreso tra i 20 e i 30 mila anni fa. Ma nella gotta di Hohle Fels in Germania è stata scoperta una venere in avorio di mammut che viene datata 35-40 mila anni. Nello stesso sito è stato anche trovato il famoso uomo o sciamano con la testa di leone, oggi retrodatato a 40 mila anni fa. Questo reperto testimonia la capacità dei Sapiens dell'epoca di creare sculture dai dettagli raffinati, quindi la forma non proprio realistica delle veneri, che accentuano gli attributi sessuali a scapito dei lineamenti del volto, va interpretata come scelta stilistica, non come limite tecnico. Le veneri rappresentano appunto una donna gravida e sono un simbolo di fertilità. Il collegamento con i cicli della natura è testimoniato dalla venere francese di Laussel, risalente a circa 29 mila anni fa. La donna tiene nella mano destra un corno di bisonte che sembra una Luna crescente e con la mano sinistra indica il suo addome rigonfio. Sul corno ci sono tredici incisioni che vengono fatte corrispondere ai tredici mesi dell’anno lunare. La venere di Lespugue, scultura in avorio trovata nei Pirenei francesi e datata 27 mila anni, presenta dieci linee che partono dalle natiche e arrivano alla parte posteriore delle ginocchia, richiamando i dieci mesi lunari della gestazione.
Dall'Atlantico a Bering
Fra le particolarità va ricordata la venere di Dolni Vestonice, in Repubblica Ceca, che risale a 28 mila anni fa: non è scolpita nella pietra, ma realizzata cuocendo argilla e ingredienti chimici naturali a circa 300 gradi. Si tratta quindi di un manufatto che anticipa di un tempo spropositato il principio della ceramica. In questo sito, sempre in epoca gravettiana, compaiono la testa realistica di un uomo, anche in questo caso una rara espressione realistica e non simbolica dell'arte preistorica, e una testina di donna, non così definita nei tratti estetici, ma comunque più dettagliata della media delle figurine paleolitiche. Il culto delle veneri era diffuso in tutta Europa, nel Mediterraneo e nel vicino Oriente. I cacciatori di mammut, inseguendo le loro prede, lo hanno portato sino a Mal’ta in Siberia orientale. Un'unica cultura che andava dall'Atlantico a Bering. A Mal'ta è stata trovata la famosa venere con "la giacca a vento", realizzata in avorio di mammut circa 24 mila anni fa. Le linee che attraversano il suo corpo sembrano le cuciture di un'imbottitura, ma ancora una volta potrebbero essere tacche connesse ai cicli temporali. In Italia spicca una delle veneri trovate ai Balzi Rossi di Ventimiglia, risalente a circa 25 mila anni fa. Si tratta di una scultura dove la testa e le gambe della donna si fondono, sino a formare una sorta di cerchio, con un serpente, simbolo tradizionalmente connesso alla Madre Terra e naturalmente alla Luna, che compie un movimento sinusoidale paragonabile a quello di un serpente. Ricordando i simboli "lunari" della sopracitata venere di Laussel, che stringe in mano il corno-Luna, possiamo simbolicamente sostituire il corno con il serpente-Luna, scoprendo così un collegamento con la notissima Dea dei Serpenti, ritrovata nel palazzo di Cnosso e datata intorno al 1600 a.C. Il culto della Dea Madre, infatti, non è scomparso con la fine del Paleolitico, ma è continuato nel Mesolitico, nel Neolitico e sino all'alba della storia, quando è stato sostituito da nuove divinità legate agli astri del sistema solare. Nel frattempo le statue delle dee hanno assunto nuove caratteristiche e si sono sempre più perfezionate, sino a superare lo status di donna gravida per introdurre quello di madre con in braccio il neonato, come avvenuto per esempio nell'area mesopotamica (le dee serpentiformi della Cultura di Ubaid), nei Balcani (le dee insettoidi di Vinca) e in Egitto (si pensi alla figura di Iside). Quali fossero i contenuti precisi del culto legato alle veneri è impossibile da stabilire. Certamente si trattava di una spiritualità dedita alle pratiche sciamaniche, profondamente connessa ai cicli naturali, ai moti celesti e alle energie della terra. Non a caso le rappresentazioni preistoriche della figura umana non sono quasi mai ritratti, ma personaggi chimerici o surreali che invitano a cogliere la continua osmosi tra uomo e mondo animale, tra reale e soprannaturale.
Giorgio Giordano