La Bibbia tra mito e storia
INTRODUZIONE
Una raccolta di miti
L'epopea dei patriarchi descritta nell'Antico Testamento viene spesso confusa con un racconto di natura storica, pur con tutte le deformazioni del caso dovute al passaparola attraverso i millenni, alla superstizione e alla devozione religiosa. Da più parti, pertanto, si è ritenuto di poter ricostruire la preistoria e la protostoria ebraica attraverso quanto esposto da questo testo sacro. Ma a ben vedere il racconto si presenta come una sequenza di miti tradizionali, rintracciabili in forme analoghe anche in altre parti del mondo, giustapposti uno di seguito all'altro come se si trattasse di eventi in ordine cronologico e incentrati sulla storia di una sola famiglia, quando in realtà in nessun modo queste storie possono essere considerate episodi realmente ambientati nell'area mediorientale. Basta un po' di attenzione per comprendere che questi miti, vicende apparentemente diverse tra loro, in generale hanno significato analogo e raccontano di uno spazio ordinato che viene sconvolto da un accadimento drammatico. In mitologia, la caduta, la cacciata, la patria originaria che deve essere abbandonata, il giardino proibito che viene violato, la terra sommersa, il tempio elevato in altezza che viene abbattuto, la città fortificata che viene assediata e distrutta sono simboli usati per rappresentare il meccanismo della precessione. Hanno un significato analogo i miti che raccontano la salita al monte sacro e l'incontro con la divinità.
Precessione
L'asse terrestre non è direzionato sempre nello stesso punto dello Spazio, ma si sposta di un grado ogni 72 anni circa, disegnando un cerchio che si chiude in 25.800 anni o secondo il computo "tradizionale" 25.920 anni. Questo meccanismo celeste è protagonista di molti miti dell'antichità e nella Bibbia è richiamato di continuo per indicare il periodo temporale, o Era cosmica, a cui si vuole fare riferimento. La precessione comporta un cambiamento ciclico nella visione della volta stellata, fenomeno ottico che dagli antichi era ritenuto una rottura dell'ordine universale immutabile. Nel corso dei millenni la precessione determina lo slittamento della stella polare attraverso le costellazioni circumpolari, quelle che rimangono visibili durante tutta la notte, muta quindi il perno del firmamento attorno a cui sembra ruotare la giostra delle costellazioni. Non solo: sul piano dell'eclittica, la precessione determina il cambiamento della costellazione zodiacale che di epoca in epoca, nel giorno dell'equinozio di primavera, si staglia dietro il punto dove sorge il Sole (precessione degli equinozi). La mitologia narra questa "catastrofe" celeste usando l'immagine di catastrofi terrestri (come il diluvio) o eventi epocali come guerre e grandi conquiste rimaste nella memoria dei popoli. La Bibbia mostra una specie di ossessione per questo tema, tanto che molti ritengono che il testo sia stato redatto in un'epoca prossima all'Era cristiana, posteriore alla scoperta della precessione da parte di Ipparco vissuto nel II secolo a.C. Naturalmente, resta aperto il dibattito sulla conoscenza del fenomeno da parte degli uomini preistorici, ma è facile ammettere che quegli instancabili osservatori del cielo abbiano percepito almeno otticamente il cambiamento, al di là di un approccio matematico alla maniera dell’uomo moderno, per esempio, accorgendosi semplicemente che nei giorni del solstizio o dell’equinozio le costellazioni visibili non erano più quelle indicate dalla tradizione millenaria degli avi (servono almeno 2000 anni per scoprirlo) o che la stella al centro della volta celeste era diventata un’altra. Secondo una visone più “classica” questi stessi miti fanno invece riferimento al percorso annuale del sole lungo l’eclittica, ai moti lunari e ai transiti delle stelle più brillanti: la catastrofe cosmica in questo senso andrebbe intesa come descrizione dei cicli stagionali, che allo stesso modo sono determinati da una diversa inclinazione dell’asse terrestre rispetto al nostro astro.
PARTE I
Adamo ed Eva
I racconti biblici non sono un'esclusiva ebraica, ma riportano vicende note in tutto il mondo. Come è noto il (secondo) racconto biblico della creazione dell'uomo è molto simile ai miti mesopotamici sulla creazione ad opera di Enki. Ma il racconto di Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden trova una corrispondenza ancora più incredibile nel Bhavishya Purana, dove compaiono Adama, Havyavati e il serpente. Anche qui la vicenda si snoda attorno al frutto proibito e alla disobbedienza alla divinità di turno, in questo caso Vishnu. Davvero sorprendente, poi, è la successiva lista di re, praticamente identica alla genealogia biblica. Troviamo Shweta, Anuha, Kinasa, Mahallala, Virada, Hanuka, Matochchila, Lomaka e Nyuha, ovvero una versione del biblico elenco genealogico composto da Set, Enos, Kenan, Mahalel, Iared, Enoch, Matusalemme, Lamech e Noè (oppure la speculare discendenza di Caino composta da Enoch, Irad, Mecuiael, Metusael e Lamech, quest'ultimo padre dei mitici Iabal, Iubal e Tubalkain). Da notare che Hanuka, l'Enoch indiano, raggiunge la sfera superiore con il corpo come il suo corrispettivo ebraico. E Nyuha costruisce un'arca per salvarsi dal diluvio con i suoi tre figli Sima, Shama e Bhavhigha. Più avanti si incontrano Nahoor, Tahar, Aviram, Nahoor e Haran (in alcuni test indicati come Nahura, Tahara, Avirama, Nahura e Harana), che richiamano i patriarchi Nahor, Terach, Abramo, Nacor e Aran. Nell'elenco compare anche Musha, ovvero Mosè, guru dei "barbari", che diffonde le sue dottrine in tutto il mondo. Secondo alcuni studiosi sono Genesi ed Esodo ad avere successivamente influenzato la tradizione indiana, c'è chi invece sposa la conclusione opposta, più spesso si ritiene che queste tradizioni abbiano una radice comune.
Ercole nel Giardino delle Esperidi
In forma diversa, troviamo un racconto analogo nella tradizione ellenica con il mito di Ercole nel Giardino delle Esperidi, dove vive il drago Ladone (l'equivalente del serpente edenico) che difende un albero sacro, a cui il semidio deve rubare i pomi d'oro. Nel racconto greco il significato astronomico sotteso al racconto è più chiaro rispetto a Genesi. A un certo punto, infatti, Atlante ed Ercole si rimpallano il mondo facendolo sobbalzare ed inclinare: si tratta di un richiamo allegorico al fenomeno della precessione. Tanto la celebre Fatica di Ercole quanto il mito dell'Eden ci ricordano che la stella polare, ovvero la stella più vicina al punto verso cui è direzionato l'asse terrestre, un tempo era Thuban nel Dragone, il serpente celeste che taglia in due la volta boreale, e non nell'Orsa Minore come oggi. Questo passaggio precessionale ci rimanda a un'epoca che precede il 3000 a.C., in pratica durante la cosiddetta Era del Toro (compresa tra la fine del V e i primi secoli del II millennio a.C.). L'albero rappresenta l'asse terrestre, così come il giardino è il circolo delle costellazioni circumpolari con al centro la stella polare.
Caino e Abele
Nemmeno la vicenda di Caino e Abele può essere considerata un siparietto prettamente mediorientale. Il mito dei due fratelli che si scannano è letteralmente presente in tutto il pianeta e viene utilizzato ogni qualvolta si deve descrivere una dicotomia, bene e male, luce e buio, Sole nascente e Sole morente. Basta ricordare il mito di Romolo e Remo e della fondazione di Roma. Anche dopo l'assassinio di Abele abbiamo una fondazione, quella della città costruita da Caino e battezzata con il nome del figlio Enoch e quella della "dinastia" dei patriarchi fedeli a Dio, non a caso il terzo figlio di Adamo si chiama Set, che vuol proprio dire fondazione. La fondazione di una città, così come la sua distruzione, è un'immagine allegorica che ancora una volta richiama la precessione (la città, luogo ordinato e ben definito nello spazio, vale il giardino, il recinto, l'isola). Secondo alcuni il mito di Caino e Abele annuncia la fine dell'Era dei Gemelli e l'inizio di quella del Toro, nuovamente richiamata dagli autori del libro.
I Nephilim
L'Era del Toro torna protagonista anche nell'episodio dei figli degli dei e le figlie degli uomini. La radice aramaica del nome Nephilim è nephila e indica la costellazione di Orione. Anche presso i Caldei Orione era indicato come niphla. I Nephilim, quindi, altro non sarebbero che "quelli di Orione", ovvero coloro che vivevano nell'Era di Orione. Secondo Bal Gangadhar Tilak (1856-1920), uno dei padri fondatori dell'India contemporanea, le tradizioni registrate nel Rigveda fanno riferimento a un equinozio di primavera nel 4500 a.C., apparentemente posizionato nella costellazione di Orione (che non è sull'eclittica), poi spostatosi verso le Pleiadi nel 2500 a.C., altra costellazione importantissima presso i popoli antichi. Secondo la visione precessionale dei nostri giorni, la prima data cade nella parte finale dell'Era dei Gemelli, mentre la seconda quasi a metà dell'Era del Toro. Tilak chiama quest'epoca l'Era di Orione. Se non si guarda all'eclittica, ma al cielo del nord, gli uomini vissuti nell'Era di Orione possono essere definiti "dragoni" in quanto in quella stessa epoca la stella polare era ospitata dall'omonima costellazione. Nella tradizione indiana, per citare un esempio analogo, troviamo l'antico popolo degli Hansa, ovvero i cigni, che è anche il nome della costellazione circumpolare che ha dato al mondo la stella polare tra 15 e 13 mila anni fa (quindi il termine indica gli uomini vissuti durante il dominio di Deneb e Delta Cigni). Da notare che il nome Aztlani, gli abitanti della mitica Aztlan della tradizione azteca, significa gli aironi, altri grandi uccelli d'acqua che trovano un'interessante corrispondenza con i cigni indiani. Il libro di Enoch, nel frammento del libro di Noè, approfondisce la questione degli angeli caduti e dei Nephilm. Va segnalato l'episodio della nascita miracolosa di Noè, che per il suo albinismo viene ritenuto figlio degli angeli e in un primo momento ripudiato dal padre. Un'immagine che trova un parallelo straordinario nell'epica sacra iranica, dove compare la figura di Zal (figlio dell'eroe Sam e padre dell'altrettanto leggendario Rostam), le cui gesta sono narrate dallo Shahnameh, il Libro del Re, composto da Firdusi in epoca medievale. Anche Zal in un primo momento viene rifiutato per il suo albinismo, in quanto tratto distintivo della stirpe dei demoni.
Il diluvio
La narrazione biblica prosegue con il diluvio universale, ma anche in questo caso la sceneggiatura del racconto non è un originale ebraico. Il mito del diluvio è letteralmente mondiale, diffuso ovunque si sono fatti sentire gli effetti della deglaciazione. La storia è quasi sempre la stessa e ruota attorno all'avvertimento divino che consente ad almeno una famiglia di mettersi in salvo, seguendo le indicazioni per costruire un'arca o altri ripari. Va ricordato che in sanscrito il termine "arc" significa splendere o brillare, mentre "arka" indica un raggio di luce ed è uno dei nomi del Sole. L'arca ha funzione protettiva, esattamente come il giardino recintato o la città fortificata. Deucalione, nella mitologia greca, o Utnapishtim, Ziusudra e Atraḫasis, nella tradizione mesopotamica, sono i più noti sopravvissuti di una schiera infinita di eroi antidiluviani. Nella tradizione indiana, oltre a quello di Nyuha, troviamo il diluvio del Manu Satyavrata/Vaivasvata, salvato da Matsya il pesce, avatar di Vishnu, che trascina in salvo l'arca con sopra l'eroe e una serie di animali messi al sicuro: in questo caso la storia è usata per raccontare la catastrofe che ha aperto il nostro Manvantara, in una data antichissima, non un diluvio alla fine del Wurm come nella Bibbia, ma la storia del salvataggio è la medesima.
Catastrofe e rinascita
Il simbolo del pesce è intimamente legato alla catastrofe e alla rigenerazione: tra i babilonesi troviamo Oannes, tra i Dogon il Nommo, divinità anfibie considerate iniziatrici di civiltà. Oannes era uno dei Sette saggi mesopotamici, figure rintracciabili anche nella mitologia egizia e in quella indiana. Proprio da quest'ultima si evince che questi mitici portatori di conoscenza non sono altro che le sette stelle dell'Orsa Maggiore, costellazione circumpolare per eccellenza. L'immagine della sommersione viene utilizzata dal linguaggio mitico come indicatore precessionale. Anche il mito di Atlantide rientra in questo modello. Inoltre, vale la pena ricordare il passo dell'Avesta in cui il dio iranico Ahura Mazda avverte Yima, il primo re degli uomini, dell'arrivo di una glaciazione che distruggerà ogni cosa, consigliandogli di costruire un recinto (vara) dove salvare i semi degli animali e delle piante. Viene pure sottolineato che nel "vara" il Sole sorge e tramonta una volta l'anno, evidente riferimento all'illuminazione polare, ovvero quella dimora nordica che nel suo corrispettivo celeste, le costellazioni circumpolari, per molte popolazioni antiche rappresentava la dimora degli dei (e infatti l'incontro tra i due avviene nel Paradiso iranico).
Nimrod e Babele
Dopo il diluvio, la storia biblica abbandona l'indeterminatezza spazio-temporale preistorica e sembra calarsi in un contesto sumero-accadico. Compare Nimrod che "cominciò a essere potente sulla Terra" e "fu valente cacciatore davanti al Signore". Definizioni che richiamano direttamente i Nephilim, a loro volta ritenuti eroi dell'antichità e uomini famosi, ma soprattutto Orione, noto alle cronache mitologiche proprio come "grande cacciatore". Ancora una volta gli autori vogliono rimandarci alla parte iniziale dell'Era del Toro. Così come all'ascesa dei Nephilim segue un disastroso diluvio, a quella di Nimrod e dei patriarchi di quell'epoca fa seguito l'episodio altrettanto catastrofico della Torre di Babele (secondo la tradizione realizzata proprio da Nimrod), storia che immancabilmente non risulta una specificità ebraica. Il mito della Torre di Babele, infatti, racconta una vicenda praticamente identica a quella associata alla piramide messicana di Cholula. Dall'altra parte dell'oceano i giganti vengono dispersi su tutta la Terra dagli Dei per aver osato costruire questa immensa montagna artificiale. E qui, dunque, rientriamo nel classico formato del mito precessionale dove una torre (asse terrestre) o tempio elevato in altezza vengono abbattuti. Pensiamo anche all'alta torre di granito smontata a pezzi raccontata dal Libro di Enoch. La cacciata di Adamo, poi quella di Caino, la caduta dei Nephilim, il diluvio, il crollo di Babele: il messaggio resta lo stesso.
PARTE II
Abramo
L'Abramo biblico oltre ad essere l'alter ego dell'Aviram del Bhavishya Purana, insieme alla sua sorella e consorte Sara trova una straordinaria corrispondenza nominale con le divinità indiane Brahma e Saraswati. Di certo della loro vicenda umana non esiste riscontro storico e archeologico. Le invasioni semitiche della Palestina sono proseguite dai tempi dell'impero di Sargon di Akkad al dominio di Assiri e Babilonesi, quindi anche la migrazione che ha portato i futuri "Ebrei" nella Terra Promessa può inserirsi tra questi movimenti di popoli, ma stabilire maggiori dettagli sino ad oggi non è stato possibile. Le avventure di Abramo, con l'entrata in Egitto per sfuggire alla carestia, la veloce fuga successiva per avere tentato di raggirare il faraone facendogli sposare Sara, la benedizione di Melchisedch sacerdote del Dio altissimo e le guerre di conquista della Palestina, si presentano come una sintesi delle vicende che si ripeteranno spalmate su più d'uno dei suoi successori, con l'entrata in Egitto di Giacobbe e Giuseppe (sempre per la carestia), la fuga di Mosé e Aronne, la conquista della Palestina di Giosuè.
Sodoma e Gomorra
Anche se non sono mancate le dichiarazioni di vari ricercatori sul presunto ritrovamento di Sodoma e Gomorra, la distruzione delle due città si presenta come un doppione del mito del diluvio universale, con personaggi e situazioni speculari. Quindi le avventure di Lot seguono una sceneggiatura mitica e non rappresentano una serie di episodi di cronaca. In entrambe le storie gli esseri corrotti vengono sterminati (l'umanità intera nel primo racconto, gli abitanti delle città peccaminose nel secondo), dopo la "purga" si salva solo una famiglia fedele al Signore (quelle di Noè e di Lot), la prole ha un incidente sessuale con il padre (Noè si ubriaca e Cam vede le sue nudità, Lot si ubriaca e le figlie ne approfittano per avere un rapporto incestuoso con lui), infine dai colpevoli discendono le tribù non ebree della Palestina (i Cananei in un caso, Moabiti e Ammoniti nell'altro).
Cronologie bibliche
Generalmente Abramo viene posto all'inizio del II millennio a. C. e partendo da questa data si cerca di ricostruire anche l'epoca dei patriarchi antidiluviani, ma le stime non sono univoche. La Genesi assegna un totale di 1656 anni al periodo che va da Adamo al diluvio e 427 anni dal diluvio ad Abramo, quindi un totale di 2083 anni da Adamo ad Abramo. Ma nella versione detta dei "Settanta" (in realtà i Saggi erano 72, numero precessionale per eccellenza) vengono indicati 2262 anni da Adamo al diluvio e 1307 anni dal diluvio ad Abramo, con un computo complessivo da Adamo ad Abramo di 3569 anni. Infine, il Pentateuco samaritano conta 1307 anni da Adamo al diluvio e 1077 anni dal diluvio ad Abramo, con un totale da Adamo ad Abramo di 2384 anni.
L'Era dell'Ariete
Proseguendo con la narrazione biblica troviamo Esaù e Giacobbe. Naturalmente non si tratta di personaggi storici, ma di figure allegoriche legate al culto solare, che rappresentano l'uno il Sole morente (Esaù è rosso e irsuto), l'altro il Sole nascente (Giacobbe è glabro). Il famoso episodio del "furto" della primogenitura è la rappresentazione di un momento astronomico. I dodici figli di Giacobbe, da cui si originarono le dodici tribù di Israele, ovviamente sono un corrispettivo dei dodici segni zodiacali, rintracciabili in moltissimi miti, dalle fatiche di Ercole, alle tappe del viaggio di Ulisse, sino ai cavalieri della Tavola rotonda. Peraltro, va ricordato che queste tribù sono del tutto fantomatiche, l'unica di cui si ha traccia storica e che ha rivestito una reale importanza nel dopo Esilio è quella dei Leviti, ovvero la casta sacerdotale dominante. Il riferimento ai dodici, naturalmente, fa sempre rizzare le antenne, perché oltre l'anno solare rievoca il grande meccanismo precessionale. Va notato che nel Libro dei Sogni di Enoch (redatto intorno al 164 a.C.) i patriarchi da Adamo a Isacco sono definiti buoi (Era del Toro), mentre da Giacobbe in poi sono definiti pecore (Era dell'Ariete), Mosè e Aronne compresi. Un indicatore che certifica il cambio di Era precessionale. Se il libro della Genesi presenta una sequenza di miti che ci vogliono riportare all'Era del Toro, quello dell'Esodo affianca una serie di narrazioni allegoriche che ci riportano all'Era dell'Ariete. Con Mosè, infatti, troviamo le porte segnate con il sangue d'agnello per far passare l'angelo della morte, ovvio rimando al passaggio dal Toro all'Ariete, e il vitello d'oro costruito a tradimento dagli Ebrei mentre il "grande capo" è sul monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge, destinate a dettare i parametri comportamentali della nuova Era.
Mosè
Innumerevoli autori hanno cercato di individuare il Mosè "storico", l'ipotesi più nota e suggestiva è quella che lo identifica con il faraone eretico Akhenaton, che volle introdurre il monoteismo solare in Egitto, scatenando le ire della popolazione (peraltro la mummia di Tutankhamon ha evidenziato l'appartenenza all'aplogruppo indoeuropeo R1b1a2). Il riferimento al periodo egizio potrebbe testimoniare un legame tra gli Ebrei e gli Hyksos, semiti diventati faraoni e poi cacciati da quelle terre. Secondo altri ricercatori gli Ebrei sarebbero collegati agli Hapiru, enigmatiche popolazioni stanziate in Egitto, a quanto pare un misto di etnie semite, indoeuropee e altre ancora. È possibile che una parte di queste genti, una volta abbandonato il delta del Nilo, si sia stanziata nella vicina Palestina, che tuttavia all'epoca era territorio egizio. Dunque l'Esodo configurerebbe un'inutile fuga all'interno dei confini del regno del faraone, segno che il racconto biblico è stato ideato in periodi molto più recenti, quando la situazione geopolitica era completamente diversa. Cercare un'identità storica per Mosè è impresa inutile, il personaggio non ha nulla di realistico, incarna invece la figura dell’antenato legislatore, tipica di molti popoli. La sceneggiatura delle sue avventure raccoglie una serie di prodigi del tutto sovrannaturali. Fin dalla nascita è chiara la natura mitica del racconto: Mosè, come tanti altri "salvati dalle acque", rischia l'uccisione ancora in fasce, a causa di una "strage di innocenti" ordinata dal sovrano di turno, ma viene deposto in una cesta lasciata galleggiare sulle acque del Nilo e scampa a morte certa. Un'identica circostanza caratterizza la venuta al mondo di Sargon di Akkad, salvato dall'Eufrate, e di Romolo e Remo, salvati dal Tevere.
Allegorie solari
La cesta ha lo stesso valore della cassa, della mangiatoia e dell'arca (tanto quella di Noè quanto quella dell'Alleanza), rappresenta la "Tebà" il luogo dove appare la divinità. Il proseguo dell'avventura terrena di Mosè è spalmato sulla più classica "epica dell'eroe". Il roveto ardente, le piaghe, il passaggio del Mar Rosso, la salita al Sinai e la manna non possono certo essere considerati episodi di cronaca. Alcuni ricercatori vorrebbero individuare nell'esplosione del vulcano di Thera la causa delle famose piaghe d'Egitto e in particolari fenomeni di marea la spiegazione del passaggio del Mar Rosso (altri preferiscono sostituire questo grande bacino con il più facilmente attraversabile tratto del Mare di Canne o di Giunchi), ma ancora una volta il senso va ricercato nell'allegoria. La salita al Monte Sinai e la trasfigurazione hanno un significato chiaramente solare. Il Sinai rappresenta il "monte sacro" (il Meru, l'Olimpo), è un altro luogo per eccellenza della manifestazione divina, perché sulla sua cima sorge il trono degli Dei. Il Signore vieta a Mosè di entrare in Palestina, quindi l'eroe cede il passo a Giosuè, anche qui secondo il modello del passaggio di consegne tra il Sole morente e quello nascente. Già dal nome si comprende che Giosuè, che significa il Salvatore, è un personaggio mitico e non storico.
L'Esodo
In ogni caso, al di là delle poco attendibili dichiarazioni shock di alcuni studiosi della materia, dell'Esodo non si hanno tracce storiche e archeologiche, come del resto di tutte le avventure precedenti narrate in Genesi. Il primo indizio dell'esistenza degli Ebrei è forse rintracciabile intorno al XII secolo a.C., in una stele egizia che fa riferimento alla presenza nei dintorni della terra di Canaan di una popolazione nomade di nome Ysrỉr, comunemente interpretato dagli storici come Israele. Esiste poi un documento scritto in lingua ebraica, datato X secolo a.C., ritrovato a Khirbet Qeiyafa: è una testimonianza indiscutibile dell'esistenza di questo popolo in quell'epoca. Gli Ebrei nella sostanza sono il risultato delle stratificazioni etniche avvenute in terra di Palestina nel corso dei secoli precedenti al 1000 a.C., una summa di genti composta da Cananei, Filistei insediati nell'area (Popoli del mare) e naturalmente tribù semitiche, compresi forse i citati Hyksos. L'archeologia ha trovato tracce di scontri all'epoca del presunto Esodo, ma la Palestina del tempo era segnata dalle continue lotte tra le tribù stanziate nell'area. Non si può escludere che semiti fuoriusciti dall'Egitto abbiano dovuto combattere con i popoli già residenti in quelle zone, ma nulla di più può essere affermato con certezza. Del resto pure la genetica ha ormai ampiamente confermato la multietnicità del popolo ebraico.
Giosuè e la conquista di Gerico
Giosuè è un altro chiaro eroe solare, non a caso è noto per aver "fermato" il nostro astro, ma pensiamo anche alle dodici pietre innalzate dal condottiero una volta passato il fiume Giordano. La sua storia personale è impossibile da classificare come specificatamente ebraica. La sceneggiatura della conquista di Gerico è sostanzialmente identica a quella di altri due assedi famosi, quello di Troia narrato da Omero e quello di Lanka descritto nel Ramayana. Questi due classici indoeuropei (uno ellenico e uno indoario) sono incredibilmente simili: entrambi raccontano di una guerra per riprendersi la regina rapita, nel caso di Troia per riavere Elena e di Lanka per riavere Sita. A Gerico ancora una volta troviamo un personaggio femminile perno della vicenda, Raab. Tanto Elena quanto Sita e Raab sono ritenute donne "infedeli", mentre Achille, Rama e Giosuè sono indiscutibili eroi solari. Questi tre luoghi protetti da difese invalicabili, alla fine, vengono conquistati con uno stratagemma.
Sansone
Continuando il racconto, una volta conquistata la Terra Promessa, si impone il dominio dei Giudici. Anche Sansone non è un vero giudice ebreo, ma il Sole che compie il giro annuale (o precessionale) attraverso le dodici costellazioni zodiacali. Sansone significa il piccolo Sole e i lunghi capelli che gli danno la forza sono il simbolo dei suoi raggi. La sua vicenda è un parallelo delle dodici Fatiche di Ercole (basti ricordare l'episodio della lotta con il Leone). Muore abbattendo le colonne del Tempio, altro grande simbolo precessionale come la torre, l'albero, il monte sacro.
Il regno unitario
Arriva poi il periodo di una presunta monarchia, prima con Saul, a seguire con Davide e Salomone. Tuttavia, non si hanno tracce del loro regno unitario (salvo boutade facilmente smontabili) ed evidentemente le mura di base del presunto primo Tempio di Gerusalemme sono molto più antiche, appartengono alla misteriosa civiltà megalitica mediterranea, dunque quel luogo sacro è stato solo riadattato dagli Ebrei, non costruito ex novo. In Palestina, prima della Cattività babilonese, sono esistiti solo i regni di Giuda e Israele, due piccole comunità in lotta tra loro, senza una vera importanza politica nel panorama storico dell'epoca: una casa regnante davidica verosimilmente non è mai esistita.
Elia ed Eliseo
Elia è la figura più nota appartenente all'epoca dei regni divisi. Anche questo personaggio non ha nulla di reale, ma rappresenta un'ennesima allegoria solare. Elia è il Sole nel suo percorso annuale, compie miracoli resuscitando un giovane, vince i profeti del dio Baal, parla con Dio sul monte Oreb e infine viene rapito al cielo come il patriarca Enoch vissuto 365 anni (i giorni dell'anno solare sono 365). Il potente Elia è il Sole morente, mentre il suo successore designato Eliseo è il Sole nascente, non a caso viene chiamato il calvo (cioè privo della splendida raggiera). Le tappe del viaggio compiuto dai due rappresentano le tappe del nostro astro attraverso le stagioni. Anche Eliseo compie miracoli: supera il fiume Giordano (come Mosè il Mar Rosso) camminando sul mantello di Elia e giunto a Gerico guarisce con sale e acqua la terra arida. Ancora una volta abbiamo un possibile riferimento precessionale all'Era dell'Ariete quando il profeta incontra una popolazione di "infedeli" che adora il vitello d'oro (cioè ancora il Toro al posto dell'Ariete) e un chiaro rimando alle costellazioni circumpolari: infatti Eliseo, dopo essere stato schernito per la sua calvizie, invia due orse (l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore) a massacrare chi si era preso gioco di lui (42 bambini, che corrispondono alle 42 costellazioni di Eratostene).
PARTE III
L'Esilio
Con la deportazione a Babilonia sparisce la supposta regalità ebraica. Gli storici hanno ampiamente chiarito che la Cattività babilonese non ha riguardato tutta la popolazione, ma pochi notabili. La maggioranza degli Ebrei è rimasta in Palestina, sono state trasferite in Mesopotamia solo alcune famiglie appartenenti alle classi dirigenti, nobili e sacerdoti. Ma tutta l'epopea dei patriarchi biblici evidentemente non riguarda la storia di un intero popolo, nella migliore delle ipotesi è il resoconto leggendario degli spostamenti di una dinastia di nobili, che per millenni ha saputo intrecciare matrimoni con le principali famiglie regnanti dell'area mediorientale e mediterranea. Una famiglia che poteva o voleva vantare un'origine addirittura risalente all'Era del Toro: ipotesi plausibile, di cui però non si hanno evidenze storico-archeologiche. Molto più verosimilmente è il lignaggio che la casta sacerdotale dominante in Palestina dopo il ritorno da Babilonia ha ritenuto di attribuirsi per avere il massimo credito agli occhi della popolazione e delle generazioni future. Dopo la caduta dei babilonesi e l'editto di Ciro, alcuni notabili ebrei sono ritornati nella Terra Promessa con l'incarico di governarla come delegati dei sovrani di Persia della dinastia achemenide. Il periodo dopo l'Esilio, in genere, è considerato dai biblisti quello in cui il libro sacro è stato composto e probabilmente sono stati proprio i mandatari dei Persiani a dare il via alla redazione del testo. Costoro altro non sono che i famosi "Leviti", intesi non come una casta sacerdotale risalente al tempo degli Hyksos, ma come un'élite ebraico-persiana che dopo cento anni di separazione era sostanzialmente sconosciuta alla popolazione residente e non poteva vantare alcuna dignità regale: la scelta obbligata, quindi, è stata quella di puntare sulla teocrazia.
Teocrazia
Il culto di Jahvè era certamente vivo in Palestina al tempo del ritorno dalla Cattività babilonese, attorno a questa divinità è stato elaborato un testo che getta le basi del monoteismo in senso proprio, riassumendo in un solo dio l'antico pantheon politeista, ma superando concettualmente le precedenti forme di enoteismo o di monoteismo solare. Da notare la profonda condanna espressa dalla Bibbia (si veda Isaia 57,6) nei confronti dell'antica religione cananea e dei suoi elementi, tipici delle culture megalitiche, dai simboli fallici connessi a Baal dio della fertilità, alle pietre alzate, ovvero l'albero, la montagna e il serpente. La narrazione biblica appare come un continuum cronologico, ma è una raccolta di miti e leggende dei popoli semiti, indoeuropei e camiti, storie sicuramente ben note alla popolazione stratificatasi in Palestina in quell'epoca. Sono state utilizzate liste di sovrani leggendari come quella che compare anche nel Bhavishya Purana per dare faccia e nome agli antichi patriarchi. Per non apparire come semplici governatori alle dipendenze del "padrone", gli emissari dei Persiani si sono proposti come classe sacerdotale di alto rango, con ascendenze imparagonabili. La Bibbia, infatti, tra i progenitori dei sacerdoti del Tempio annovera tutti i "religiosi al potere" più famosi dell'antichità, una genealogia doc che più credenziali non poteva avere. Un vero super-clero. Si parte dai patriarchi antidiluviani, ricalcati sui re-sacerdoti sumeri e accadici, per arrivare ad Abramo che proviene dall'enclave di un'altra casta sacerdotale leggendaria, quella dei Caldei (l'esistenza dei quali, peraltro, è attestata ben dopo la presunta epoca dell'uomo di Ur). Il richiamo ai re-sacerdoti di Sumer e ai Caldei è un'evidente eredità del periodo babilonese, d'altra parte gli "Ebrei" ritornati in Palestina erano nati e cresciuti a Babilonia, non c'è da stupirsi che abbiano scelto la "Terra tra i due fiumi" per far partire la loro storia ancestrale.
L'Egitto, i Leviti e la monarchia
Con la doppia entrata in Egitto, raccontata prima con l'episodio di Abramo, poi con tutta la storia che va da Giuseppe sino all'Esodo di Mosè e Giosuè, gli autori della Bibbia hanno recuperato un'altra ascendenza "sacra" di prim'ordine. I faraoni erano l'incarnazione stessa del re-sacerdote, alla stregua degli antichi sovrani mesopotamici protostorici. Abramo offre sua moglie in sposa al faraone (e una volta abbandonata la terra del Nilo viene benedetto da un sacerdote eterno come Melchisedech), Giuseppe diventa gran visir, Mosè è addirittura annesso alla famiglia reale d'Egitto. È evidente la volontà di ricollegare la storia della famiglia sacerdotale ebraica alla maestà divina dei sovrani egizi e all'aura magica degli illustri sacerdoti di quelle terre. Il dettato biblico prosegue con l'istituzione dei Leviti, ancora un volta sacerdoti e non regnanti, tuttavia con un evidente potere temporale. Anche i Giudici rappresentano autorità morali che esercitano a tutti gli effetti il potere temporale. Poi finalmente compare una monarchia vera e propria, prima con Saul, a seguire con Davide e Salomone, ma questa viene "pilotata" da Samuele, giudice e profeta, quindi ancora una volta un'autorità religiosa da cui promana il vero potere (i sovrani ebrei venivano "unti" da un Giusto o Zadok, figura che incarna il sommo sacerdote e che peraltro richiama Noè uomo Giusto, Melchisedech Re di Giustizia o il Maestro di Giustizia degli Esseni). Tutto lo Stato ebraico illustrato dal testo sacro è costruito attorno al culto di Jahvè e al potere dei sommi sacerdoti. La dinastia davidica appare come un'intromissione non molto gradita, richiamata solo per non tradire le memorie popolari ancora vive di un periodo in cui effettivamente in Palestina esistevano due regni e quindi dei sovrani. L'aspettativa messianica è infine rimasta l'unico residuo di quell'epoca lontana.
Il Tempio e Zorobabele
Secondo la Bibbia, la grande monarchia unitaria dura poco e finisce male. E dopo la divisione dei regni, a difendere le sorti del popolo ebraico e del vero Credo, tanto per non sbagliare, gli autori hanno nuovamente indicato i profeti, ancora figure prettamente religiose. L'ultimo discendente noto della casata davidica è Zorobabele, il fantomatico capo della prima spedizione a Canaan dopo l'Esilio, che "ovviamente" è accompagnato dal sommo sacerdote Giosuè. Ma al momento della dedicazione del secondo Tempio Zorobabele non è presente, c'è solo Giosuè. La monarchia viene quindi abolita senza troppo dolore, nello spazio di un paio di righe. E poi arriva Esdra con la seconda spedizione da Babilonia verso la Terra Santa, che rifonda lo Stato ebraico attorno al culto di Jahvè e sul potere assoluto dei sommi sacerdoti. Naturalmente Esdra è un Levita, un discendente di Aronne: è l'ennesima ufficializzazione dei sacerdoti al potere. Più tardi con i Maccabei, anche loro Leviti, i sommi sacerdoti diventeranno regnanti a tutti gli effetti, fondando la dinastia degli Asmonei.
Influenze indoeuropee
Da quanto esposto sin qui, appare evidente l'aderenza della tradizione biblica alla mitologia indoeuropea. Secondo alcuni studiosi l'influenza indoeuropea va fatta risalire addirittura alle tribù dei Mitanni presenti nell'area 4000 anni fa. Altri, all'opposto, ritengono che la matrice indoeuropea vada ricercata nell'ellenismo, che ha travolto la Palestina quando ancora l'Antico Testamento era in fase di redazione. Sono emblematici i nomi Alessandro e Alessandra che hanno caratterizzato gli Asmonei. A metà strada tra i due estremi ci sono i "nostri" delegati dei Persiani, che si cucirono addosso l'identità levita. Va fatto notare che tra i Leviti ashkenazit e sefarditi sono presenti significative concentrazioni dell'aplogruppo paterno tipico dei popoli indoeuropei orientali, l'R1a1, in specie la variante M582 che evidenzia un evento "fondatore" 2000-2500 anni fa, quindi prima della diaspora. L’unica regione con una concentrazione di rilievo di questa variante è la Persia, ovvero l'Iran e le zone vicine, che quindi risulta la terra di origine più probabile della linea maschile R1a1 dei Leviti. Il che ci riporta agli emissari degli Achemenidi del dopo Esilio, coloro che hanno sapientemente unito le tradizioni babilonesi a quelle indoiraniche (Zoroastrismo compreso) e a tutto il retaggio mitico e culturale proprio della Palestina dell'epoca. Bisogna anche ricordare che, secondo molti studiosi, buona parte degli ebrei europei discende dai Cazari, un popolo stanziato tra il Mar Caspio e il Mar Nero e nei territori immediatamente a nord di quell'area, che nel IX secolo si convertì al giudaismo: in quelle terre l'aplogruppo R1a1 è molto diffuso. In definitiva la Bibbia è un libro sacro incentrato sul culto di Jahvè, tra le cui righe possono scorgersi miti astronomici più antichi e tutta una serie di messaggi cifrati di natura esoterica, volutamente tralasciati in questa sede: non può essere considerato un libro storico, se non per alcuni rimandi abbastanza vaghi a questa o quella epoca. Ma se la scenografia è talvolta ispirata alla storia, di certo non lo è la sceneggiatura.
Giorgio Giordano