Linea evolutiva dell’Homo, l'ipotesi europea
Ominidi con denti molto simili a quelli umani, vissuti tra la Grecia e la Bulgaria circa 7,2 milioni di anni fa. A suggerire questa conclusione sono i recenti studi effettuati su due reperti fossili, attribuiti a un ominide ancestrale noto fin dal secolo scorso, chiamato Graecopithecus Freybergi: una mascella inferiore rinvenuta in Grecia e un premolare superiore trovato in Bulgaria. I risultati - secondo due studi pubblicati sulla rivista Plos One dall’Università tedesca di Tubinga e dall’Accademia bulgara delle Scienze - indicherebbero che le radici dei premolari sono fuse, una caratteristica dell’uomo moderno e di molti ominidi tra cui l’Ardipithecus e Australopithecus (oggi in realtà per queste due forme si preferisce la definizione “ominini”, in quanto negli ominidi andrebbero comprese anche alcune scimmie). La creatura, soprannominata “El Greco” dagli scienziati, dimostrerebbe che i presunti antenati degli australopitechi e del genere Homo hanno cominciato a evolversi in Europa 200 mila anni prima che in Africa. Questa ricerca è stata ampiamente criticata da chi ritiene tali reperti insufficienti per tirare conclusioni rivoluzionarie. Fino ad ora si riteneva che le linee evolutive di uomo e scimmia si fossero separate nel continente nero in un periodo compreso fra 5 e 7 milioni di anni fa.
Le due ricerche appena pubblicate delineano un nuovo scenario sulle origini dell’uomo, la scoperta tuttavia non trova consenso unanime nel mondo scientifico. Non è la prima volta che viene ipotizzata l’origine della nostra linea evolutiva in Europa. Va ricordato, per esempio, l’ominide maschio battezzato Lluc, vissuto 11,9 milioni di anni fa in Spagna, nella località di Anoia in Catalogna. Potrebbe essere il più antico fra gli antenati dell’uomo. Il nome scientifico è Anoiapithecus brevirostris: i suoi resti rivelano un aspetto moderno, con un prognatismo molto ridotto, confrontabile tra gli ominidi solamente con il prognatismo del nostro genere. Tuttavia è africano il fossile più antico di un ominide bipede, cioè che camminava sugli arti inferiori senza aiutarsi con quelli anteriori, come invece fanno le scimmie: è stato battezzato Orrorin tugenensis, viveva in Kenya 6 milioni di anni fa e aveva femori adatti alla deambulazione su due gambe. E non bisogna dimenticare che si sta parlando di linea evolutiva del genere Homo, non di genere Homo in senso proprio: le prime tracce dell’umanità conducono nel continente nero e sono attribuite all’Homo habilis, vissuto a partire da circa 2,4 milioni di anni fa.
Di recente si è aggiunto un nuovo studio che avvalorerebbe l'ipotesi. Riguarda alcune impronte vecchie di 5,7 milioni di anni ritrovate a Creta. Sembrano appartenere a un animale bipede, ma in assenza di ossa è pressoché impossibile capire chi le abbia lasciate. Ammesso che siano attribuibili a un ominino, risultano più giovani del Sahelanthropus tchadensis (i cui resti sono stati trovati in Ciad), quindi non è impossibile siano state prodotte da una specie africana uscita dal continente nero prima di Homo erectus. Taluni sostenitori dell'origine europea citano anche l'analisi di un molare e di un canino venuti alla luce in Germania datati 9,7 milioni di anni. Tuttavia anche queste prove sono fortemente contestate dai paleoprimatologi di tutto il mondo: il molare non apparterrebbe a un rappresentante della famiglia umana (sembra piuttosto essere attribuibile all'Anapithecus), mentre il canino è considerato un frammento del dente di un animale erbivoro, verosimilmente un'antilope.
Giorgio Giordano