L'astronomia nel Paleolitico superiore

Tipologia: 
Culture
26 marzo 2017
L'uomo preistorico era interessato all'astronomia: le tracce iniziano nel Paleolitico superiore. Il cielo stellato ha svelato ai nostri progenitori le scadenze della natura. Sono state le fasi lunari ad avere rivelato all'uomo il concetto stesso di Tempo, ma su un reperto tedesco dell'Aurignaziano compare Orione
L'uomo ha iniziato a osservare le stelle quasi 40 mila anni fa
L'uomo ha iniziato a osservare le stelle quasi 40 mila anni fa

L'uomo preistorico era interessato all'astronomia: le tracce iniziano nel Paleolitico superiore. La più antica traccia di osservazione celeste potrebbe essere rappresentata da una scultura trovata in Liguria, a Vara, San Pietro d'Olba, vicino a Savona: è datata al confine tra il Musteriano, quindi alla fine dell'era neanderthaliana, e l'inizio del dominio Sapiens in Europa. Secondo un'interpretazione la faccia scolpita in questa pietra raffigura una mezza luna. Ma naturalmente non c'è ancora astronomia in questo tipo di opera artistica. I primi reperti che lasciano intendere una vera e propria conoscenza del cielo risalgono all'Aurignaziano. Si tratta di reperti che non sempre mettono d'accordo gli esperti, ma certamente è difficile sostenere che in quell'epoca l'uomo non guardasse con continuità la giostra eterna del cielo stellato, i cui moti hanno svelato ai nostri progenitori le scadenze metronomiche della natura e delle stagioni, quindi i ritmi della caccia e della raccolta. Senza dimenticare l'importanza della stella polare che indica il nord vero, grazie alla quale i primi Sapiens hanno potuto orientarsi e conquistare i continenti. Il manufatto astronomico più antico è stato trovato nella valle di Ach in Germania e risulterebbe essere un’antica rappresentazione di Orione, realizzata in avorio di mammut e datata 32-38 mila anni fa. Le 86 tacche sull’altra faccia del reperto indicano il numero di giorni in cui la stella Betelguese è visibile. Secondo le osservazioni è anche un calendario per le gravidanze. In particolare sono state le fasi lunari ad avere rivelato all'uomo il concetto stesso di Tempo.

La venere francese di Laussel, datata circa 28 mila anni fa, tiene nella mano destra un corno di bisonte che sembra una luna crescente e con la mano sinistra indica il suo ampio addome. Sul corno ci sono 13 tacche, che simboleggiano il numero di lune o il numero di cicli mestruali in un anno. Anche la venere di Lespugue, scolpita in bassorilievo su pietra e dipinta di ocra rossa, scoperta nei Pirenei francesi e datata 27 mila anni fa, evidenzia l'interesse per l'astronomia. Dalle sue natiche partono 10 linee che arrivano alla parte posteriore delle ginocchia, suggerendo i dieci mesi lunari della gestazione. L'osso trovato in Dordogna, nell'Abri Blanchard, risalente a circa 32 mila anni fa, su di un lato presenta 69 incisioni, ovvero un periodo di due mesi lunari e un quarto. Sull'altra faccia si vedono altre tacche per un totale di 172 segni, rappresentanti sei mesi lunari. L'osso trovato nell'Abri Lartet, nella stessa regione, indica alcune serie di 29 o 30 tacche: praticamente i giorni contenuti in una lunazione. Tra le evidenze del Paleolitico superiore vanno ricordati anche l'osso proveniente da Kulna in Cecoslovacchia e quello di Gontzi in Ucraina, sui quali sono evidenti ancora riferimenti lunari: il reperto cecoslovacco presenta tre gruppi di 15, 16 e 15 incisioni che indicano la metà del mese lunare, mentre quello ucraino evidenzia sequenze di tacche che rimandano a un periodo di quattro lunazioni.

Molto probabilmente vanno inserite tra i reperti astronomici anche le ruote "solari" di Sungir in Russia, risalenti a 20-29 mila anni fa. Merita menzionare anche il cavallo rinvenuto sempre a Sungir, che presenta una serie di 50 fori considerati un calendario. Valenza astronomica ha pure il ciottolo della Barma Grande al confine italo-francese, datato a 24 mila anni fa. I computi lunari sono proseguiti sino alla fine del Paleolitico come dimostra il bastone di comando della Grotta Placard antico 12 mila anni. Dall'Europa all'Africa: fra i più famosi reperti astronomici del Paleolitico c'è certamente l'osso d'Ishango, risalente a circa 20 mila anni fa. Si ritiene possa rappresentare i sei mesi di un calendario lunare posto in correlazione con il ciclo mestruale femminile. La luna è stata certamente protagonista delle opere artistiche paleolitiche, ma nelle grotte di Lascaux in Dordogna, dipinte intorno ai 15-20 mila anni fa, è possibile cogliere riferimenti ancora più sofisticati, un vero e proprio tesoro di nozioni astronomiche: i 29 punti scuri tracciati sotto la figura di uno dei cavalli rappresentati sulle rocce sono stati interpretati come un computo dei giorni del mese sinodico lunare, mentre i 13 punti tracciati sotto la figura di un grande cervo sono stati interpretati come i mesi dell'anno lunare. Si segnala anche la figura di un toro, rappresentate l'omonima costellazione, con le Pleiadi segnate nella loro posizione celeste dietro le corna dell'animale. A Lascaux, inoltre, compare per la prima volta un chiaro riferimento solare: l'entrata della grotta infatti è allineata con il solstizio d'estate.
Giorgio Giordano

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Orione 32-38 mila anni fa
Venere di Laussel
Venere di Lespugne
Le ruote solari di Sungir
Il cavallo di Sungir
Lascaux
Lascaux
Il Toro e le Pleiadi a Lascaux