Il Sapiens è comparso molto prima del previsto
Quando è comparso l’Homo sapiens? Una domanda che non ha ancora una risposta definitiva, anche se ormai è certo che la sua origine va collocata in un’epoca nettamente precedente rispetto a quanto ritenuto sino a poco tempo fa: almeno 100 mila anni prima. E a questo punto non è nemmeno più così sicura la sua provenienza sub-sahariana. Sino ad oggi si è pensato che le testimonianze più antiche dei primi Sapiens fossero quelle del sito di Omo Kibish in Etiopia datato 195 mila anni fa, ma ora sotto i riflettori è finito il sito di Jebel Irhoud in Marocco, già noto per una mandibola di Sapiens trovata nel 1968 e datata 160 mila anni fa, una delle testimonianze più vecchie della prima umanità anatomicamente moderna del Paleolitico medio. Le nuove datazioni indicano un’epoca compresa tra 300 e 350 mila anni fa. I ricercatori tedeschi dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva e dell’Istituto nazionale per l’archeologia e il patrimonio del Marocco hanno pubblicato in due articoli su Nature i risultati del loro studio.
Sono stati analizzati strumenti litici e resti umani di almeno cinque individui, compreso una parte di cranio e una mandibola, contenuti in uno strato geologico risalente a 280-350 mila anni fa. Le analisi con il metodo della termoluminescenza, eseguite sugli utensili scoperti nel sito, rimandano a date comprese tra 300 e 40 mila anni fa. Le prime tracce dei nostri antenati arcaici sono emerse nel Corno d’Africa, rinvenute in siti come Omo Kibish, Haua Fteah, Herto, Aduma, Bouri, con resti datati tra 195 e 75 mila anni fa. Poi ci sono appunto i campioni di Jebel Irhoud in Marocco di 160 mila anni fa, quelli di Qafzeh e Skhul in Israele, datati tra 100 e 80 mila anni fa, e quelli di Laetoli in Tanzania, datati tra 120 e 100 mila anni fa. Nel caso di Herto si è parlato di Homo sapiens idaltu, un Sapiens estinto, vissuto circa 160 mila anni fa. I reperti litici trovati a Jebel Irhoud in un primo momento erano stati datati intorno a 40 mila anni fa, peraltro risultano molto simili a quelli tipici della cultura mousteriana, associata ai neanderthaliani: si pensò quindi a una forma africana di Neanderthal, salvo poi ricredersi a fronte di una più attenta analisi dei resti umani, caratterizzati da un cranio e una struttura facciale più simili al Sapiens.
La mandibola, anche se più larga, è tipicamente Sapiens, il cranio, invece ha caratteri sia arcaici che moderni, ma ricorda i crani Sapiens di Qafzeh e Laetoli. A questo punto è anche doveroso rivalutare la misteriosa venere di Tan-Tan, trovata appunto in Marocco, che si presenta nello stesso stile delle veneri europee del Paleolitico superiore “cromagnoide”, ma è datata 300-500 mila anni fa e probabilmente rappresenta il primo simbolo religioso conosciuto. Allo stesso modo la venere di Berekhat Ram, trovata in Israele sulle alture del Golan, risale ad almeno 230 mila anni fa. La paternità di queste opere è sempre rimasta in dubbio, ma a fronte dei reperti marocchini il quadro pare più caro. Va ricordato del resto che quelle di Jebel Irhoud non sono le prime testimonianze che ci spingono a retrodatare la comparsa del Sapiens Già in passato per catalogare questi esseri umani si è parlato di Homo helmei, un Sapiens arcaico vissuto circa 300 mila anni fa. E nel 2006, in Israele, sono emerse tracce importantissime: in una grotta a est di Tel Aviv sono stati trovati alcuni denti risalenti a 400 mila anni fa che sembrano appartenere a un nostro antichissimo antenato Sapiens. Nell’area sono state anche scoperte delle lavorazioni in pietra, risalenti alla stessa epoca, che ancora una volta rimandano a una lavorazione tipica dell’Homo sapiens.
Troppo poco per fare affermazioni assolute, resta quindi l’enigma, anche perché le linee di discendenza di questi antichi Sapiens si sono perse: la genetica non riesce a risalire così indietro, gli studi sul Dna indicano che la Eva mitocondriale, la madre di tutti gli odierni viventi, è comparsa circa 200 mila anni fa, lo stesso vale per l’Adamo genetico (anche se entrambi sino a qualche tempo fa, secondo i calcoli dei genetisti, risultavano molto più giovani). Ma talvolta le cose vanno in senso inverso, la genetica ha scoperto antichi esseri umani non ancora catalogati tra i resti fossili: dalle analisi del genoma di tre popolazioni africane, fra le più ancestrali del mondo, pare chiaro l’incrocio con un tipo umano ancora da individuare, che si è separato dall’antenato comune circa 1,2 milioni di anni fa: i Sapiens rimasti nel “continente nero” si sono uniti a questi uomini arcaici, che hanno fornito circa il 10 per cento del Dna ai moderni africani.
Inoltre, dal Dna più antico mai sequenziato, proveniente dal sito di Sima de los Huesos, ad Atapuerca in Spagna, prelevato da 28 individui vissuti all’incirca 400 mila anni fa, si è stabilito che la frammentazione dell’Homo heidelbergensis, l’ultimo antenato comune tra Sapiens, Neanderthal e Denisova, è avvenuta circa mezzo milione di anni fa. Heidelbergensis è stato il grande protagonista del Paleolitico medio e ha accompagnato il passaggio dalla prima umanità, Erecuts e simili, verso forme più moderne, ancora presenti sul pianeta nel Paleolitico superiore al tempo della grande diffusione dei nostri antenati. I resti di Atapuerca rappresentano una forma umana fisicamente simile a Heidelbergensis, con linee estetiche ante-neanderthaliane, ma geneticamente più vicine all’Homo di Denisova. Secondo i dati genetici, le linee evolutive che verosimilmente hanno dato origine a Homo sapiens in Africa, a Homo neanderthalensis in Europa e a Denisova in Asia convergono attorno a 500 mila anni fa. E dunque è evidente che da quel punto in poi una qualche forma di Sapiens arcaico ha calcato il pianeta. Tra l’altro, proprio questi reperti spagnoli hanno fatto ritenere ai paleontologi, in antitesi alle risultanze genetiche, che la divergenza tra Homo sapiens, Neanderthal e Denisova sia avvenuta ancora prima, quasi 1 milione di anni fa.
Aggiornamento (3 ottobre 2017) - Il contributo della genetica
Secondo una ricerca pubblicata su Science, la transizione tra specie arcaiche e Homo sapiens iniziò a svilupparsi fra 350 e 260 mila anni fa. È la conclusione a cui è giunto un gruppo di studiosi dell’Università di Uppsala in Svezia e dell’Università di Johannesburg in Sudafrica, che hanno sequenziato i genomi di sette individui vissuti in Africa meridionale, nella regione del KwaZulu-Natal: tre risalenti a un periodo compreso fra 2300 e 1800 anni fa, e quattro più recenti vissuti fra 500 e 300 anni fa. Tre dei sette individui analizzati, i più recenti, presentano una variante genetica che protegge dalla malaria e due una variante associata alla resistenza alla malattia del sonno.
Giorgio Giordano